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horcynus orca
 

Quaranta anni fa veniva pubblicato Horcynus Orca, uno dei più grandi romanzi della letteratura europea del Novecento. Stefano D’Arrigo aveva cominciato a scriverlo nell’agosto del 1955, una prima stesura era già pronta alla fine dell’anno successivo, poi un’anticipazione di due capitoli sulla rivista “Il Menabò, diretta da Elio Vittorini. La pubblicazione dell’intera opera veniva annunciata come imminente già nel 1960, ma iniziava allora il lungo e travagliato lavoro di correzione delle bozze, di riscrittura del romanzo e di inserimento di lunghi inserti narrativi che sarebbe proseguito fino agli ultimi giorni del 1974, poche settimane prima della pubblicazione avvenuta nel febbraio del 1975, anche se l’elegante edizione mondadoriana reca la data di gennaio.

 

Il romanzo, lungo 1257 pagine nella prima edizione, racconta il ritorno del marinaio ‘Ndrja Cambrìa nel suo paese di pescatori sulla sponda siciliana dello Scilla e Cariddi e del suo tentativo fallito di restituire a una comunità devastata materialmente e moralmente dalla guerra la smarrita dignità di vita e di costumi. Il racconto di una “apocalisse culturale” commentò Walter Pedullà, “un cantare” lo definì Gianfranco Contini, un’opera che – notarono ammirati i suoi primi lettori -  voleva riassumere e rielaborare tutte le letterature e i generi con l’obiettivo di arrivare al significato ultimo delle cose. Una odissea della parola, “un’arcalamecca”, una “mille e una notte”, la scoperta di una lingua letteraria e popolare, mitica e concreta nello stesso tempo: classica, appunto. “Un monstrum espressivo”, come scrisse, sgomento, Niccolò Gallo, l’editor che, insieme con Walter Pedullà, ne accompagnò tutte le fasi creative senza riuscire a vederne la luce, per la prematura scomparsa. Un’opera intraducibile, si disse, ed è stato così per quaranta anni, fino a pochi mesi fa, quando il letterato poliglotta Moshe Kahn ha dato alle stampe la sua monumentale traduzione in tedesco, nel giudizio unanime un capolavoro a servizio di un capolavoro. Il nostro convegno vuole ricordare il Quarantennale di Horcynus che non ha trovato posto nelle agende dei giornali, sempre così dense anche di ricorrenze inessenziali, e in grandi eventi celebrativi.

 

Lo fa chiamando a parlarne alcuni degli studiosi più importanti, quelli che hanno sostenuto la battaglia, di cui Pedullà è stato il leader più autorevole e convinto, per collocare l’Horcynus nell’Olimpo delle grandi opere. Insieme con loro ci saranno Moshe Kahn, il traduttore dell’edizione tedesca (uscita per i prestigiosi tipi della Fisher), scrittori, poeti e musicisti. Si è potuto fare grazie al comune di Trevi nel Lazio e al suo sindaco Silvio Grazioli, che hanno voluto ricordare come questo monumento della letteratura si sia alimentato anche degli umori, delle atmosfere delle nostre zone, degli Altipiani di Arcinazzo dove D’Arrigo soggiornò per lunghi periodi nei momenti più travagliati e decisivi del suo lavoro. Un grande romanzo di mare che deve molto anche alla montagna, alla nostra montagna.

Horcynus Orca Quarantennale. Prima edizione
Gualberto Alvino, Quarantennale, Horcynus Orca, Convegno
L’occhio, il “visto cogli occhi”, l’occhio destro della simbolica dello spirito di cui parla Debenedetti. L’occhio sinistro in Horcynus Orca dà il “visto cogli occhi della mente”, visione, fantasia, sogno, magari incubi, ma non necessariamente cose sinistre. Si dice che fino al secolo scorso i due occhi andassero d’accordo, poi ci fu il divorzio, suppergiù al tempo degli espressionisti, che chiusero un occhio, quello che guardava sulla realtà esterna, e dilatarono il sinistro, che si è rivolto verso l’interno. In questa storia D’Arrigo c’entra perché di nuovo cerca di mettere a fuoco i due occhi: naturalmente senza bruciarsi: vale a dire senza tornare alla vista del secolo scorso, della narrativa naturalistica, notoriamente fanatica di occhio destro e di altro realismo”.
walter pedullà, Miti, finzioni e buone maniere di fine millennio, 1983
Giovanni Fontana, Quarantennale, Horcynus Orca, Convegno

Ci sono scrittori per i quali un vocabolo vale l’altro e sgravano sulla pagina il primo che vien loro alla penna senza lacerarsi in dilemmi di natura estetica perché il loro interesse è tutto incentrato sul plot e sui contenuti-significati (ignorando che in arte l’unico vero contenuto sgorga dal significante e dalla sua organizzazione); e ci sono scrittori — il cui novero va, ahinoi, sempre più assottigliandosi — che reputano ogni minima scelta formale una questione cruciale, sostanziale, perfino gnoseologica. D’Arrigo è certamente tra questi, e sarebbe un grave errore non annettere alle sue esplorazioni all’interno della parola il giusto rilievo ai fini esegetici.

gualberto alvino

Davide Orecchio, Quarantennale, Horcynus Orca, Convegno
Più che un romanzo è un trascinante poema dove è protagonista una lingua che respira echi e cadenze idiomatiche delle genti dello “scill’e cariddi” e che sostiene impareggiabili squarci sinestetici. Quella di D’Arrigo è una scrittura del corpo, della terra e del mare, materica, magmatica, ricca di suoni e di immagini, costruita su un ritmo incalzante che si sviluppa tra arcaismi, neologismi, incidenze popolari, iterazioni, pressioni, fascinazioni, vortici, aggregazioni dense e metamorfiche in un travolgente pulsare fino a spegnersi là “dove il mare è mare”.
giovanni fontana
Raffaele Manica, Quarantennale, Horcynus Orca, Convegno
Siriana Sgavicchia, Quarantennale, Horcynus Orca, Convegno
Horcynus Orca è una calamita. Il lettore ne è modificato e attratto. Lo scrittore ancora di più. L'incontro con Horcynus Orca altera le scritture: nascono vassallaggi. Accadono a volte tentativi di liberazione attraverso la fuga. Ma nessuna orbita va in linea retta. E nessuna evasione resta impunita. A meno che…
davide orecchio
Di memorabile ci fu innanzi tutto il battage pubblicitario, che non si era mai visto, e fu un caso molto singolare. La pagina pubblicitaria uscì in contemporanea su varie testate internazionali [...]. Da un certo punto di vista, Horcynus Orca è l’ultima testimonianza sulla infinita ricchezza della lingua italiana, che se ne infischia della traducibilità. Ci sono libri in cui il dato della manipolazione linguistica è fondamentale e restano patrimonio solo della lingua nella quale sono scritti [...]. La intraducibilità, per me, è un aspetto di forza, è il problema di D’Arrigo, di Gadda e, per andare nel campo della critica, di Contini la cui opera è difficilmente traducibile e tuttavia resta capitale per la riflessione critica. L’Horcynus Orca di D’Arrigo è un tesoro della lingua italiana, un luogo in cui l’italiano manifesta tutta la sua ricchezza. È un grande punto di resistenza che si manifesta con una grande capacità visionaria; è uno degli ultimi libri del Novecento dove questa potenza linguistica poggia sulla varietà e sulle presenze paradialettali.
raffaele manica
Primo Levi, Horcynus Orca, Stefano D'Arrigo

Horcynus  Orca è un mito moderno, un racconto sulla divina mania della conoscenza. Stefano D’Arrigo, come l’Ulisse dantesco, sfida il limite, forza i confini del romanzo per andare «dentro, più dentro dove il mare è mare», per scoprire il mistero dell’inizio e della fine.  Il protagonista  del romanzo sale sulla groppa dell’orca, va incontro alle tenebre e si mette nella barca che è bara e arca insieme per raccontare la poesia del «visto con gli occhi della mente». La sperimentazione espressiva non è un ostacolo per il lettore di Horcynus Orca perché si accompagna all’emozione, in una ricerca visionaria e visiva che cambia la prospettiva della percezione come accade nell’innamoramento.  
siriana sgavicchia

George Steiner, Horcynus Orca, Stefano D'Arrigo

[…] Poi ti imbatti in Horcynus Orca e tutto salta: è un libro esuberante, crudele, viscerale e spagnolesco, dilata un gesto in dieci pagine, spesso va studiato e decodificato come un arcaico, eppure mi piace, non mi stanco di rileggerlo e ogni volta è nuovo. Lo sento internamente coerente, arte e non artificio; non poteva essere scritto che così. Mi fa pensare a una certa galleria che è stata scavata secoli fa, nella roccia, in Val Susa, da un uomo solo in dieci anni; o ad una lente con aberrazioni, ma di portentoso ingrandimento. Mi attira soprattutto perché D’Arrigo come Mann, Belli, Melville, Porta, Babel e Rabelais, ha saputo inventare un linguaggio, suo, non imitabile: uno strumento versatile, innovativo, e adatto al suo scopo.
primo levi, la ricerca delle radici

Nulla è più frustrante, per un lettore appassionato, di trovare un libro che per lui è travolgente, un capolavoro, e scoprire che quasi nessuno lo conosce e che non è facile persuadere gli altri a condividere il piacere che gli dà. Come può essere che un libro che lo colpisce profondamente, che trasforma il suo panorama interiore, rimanga oscuro e, in larga misura , non letto? […] Il moto oceanico della storia, il fantastico potere dell’intreccio di motivi arcaici mitologici e la feroce realtà della seconda guerra mondiale, la capacità di D’Arrigo di dare una vita violenta e lirica agli elementi del tempo e del paesaggio, del mare e della terra, mi fecero superare ogni barriera linguistica e grammaticale. […] Alcuni episodi […] rimarranno tra i grandi momenti di tutta la letteratura.
george steiner, il mistero dell'orca in  il corriere della sera, 4-11-2003

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